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Siria, l’esercito digitale pro-Assad prende di mira gli account social di Skype. In un Paese “nemico di Internet”

“Non usate i servizi di posta elettronica di Microsoft. Stanno sorvegliando i vostri account e vendendo i dati ai governi”. Questo il tweet che poche ore fa è comparso sul profilo ufficiale di Skype, il più diffuso servizio di Voice ove IP della rete, un messaggio che portava però una firma in forma di hashtag: #SEA. Leggi Sirian Electronic Army, l’esercito digitale che dal 2011 è impegnato in attacchi Ddos, defacciamenti e incursioni negli spazi online degli oppositori politici del presidente Bashar el-Assad. Il collettivo di hacker, facendo leva sullo scandalo seguito alle rivelazioni di Edward Snowden in merito alla pervasiva sorveglianza del traffico dati operata dalla National Security Agency statunitense, ha così utilizzato i canali di Skype per far risuonare il messaggio contenuto nella sua prima azione del 2014.
You may have noticed our social media properties were targeted today. No user info was compromised. We’re sorry for the inconvenience. — Skype (@Skype) 2 Gennaio 2014
L’escalation di attacchi, nei mesi scorsi, ha seguito quella della guerra civile e non ha risparmiato di colpire spazi come il sito del Parlamento europeo e quello del governo di Washington. Il legame tra il collettivo e il governo è fonte di dibattito, ma c’è chi sottolinea elementi come il fatto che il dominio del sito ufficiale del SEA risulti registrato dalla Syirian Computer Society (SCS), ente che negli anni ’90 era diretto proprio da Assad, e che la piattaforma sia ospitata dall’ISP dell’organizzazione stessa. Tuttavia, la stessa SCS nel giugno scorso metteva offline il dominio a ridosso degli attacchi mossi dal SEA agli spazi online di Financial Times, Associated Press e BBC. Un anno prima era stato bucato l’account Twitter della Reuters. Le azioni hacker sono le più rumorose ma affiancano il sistematico inserimento di contenuti pro-Assad in rete a mezzo social network e blog. Propaganda 2.0 che si inserisce nel contesto di un Paese considerato da Reporters Without Borders tra i primi cinque “nemici di Internet” per l’uso massiccio che il governo fa di tutti i sistemi di filtraggio, sorveglianza e censura del traffico operato dagli utenti siriani. Solo nel febbraio 2011, ad esempio, l’operatore pubblico Syrian Telecommunications Establishment (STE) eliminava i meccanismi di firewall che rendevano irraggiungibili nel Paese Facebook e Youtube (quest’ultimo dal 2006). Un gesto che tuttavia rimaneva, per quanto clamoroso, residuale rispetto al trattamento riservato a chi aveva deciso di esprimere online la sua ostilità al regime. Pochi giorni dopo, infatti, la blogger 19enne Tal al-Mallouhi veniva condannata a cinque anni di carcere dopo essere stata arrestata nell’ottobre del 2010 con l’accusa di spionaggio a favore di Egitto e USA. Il divampare delle proteste di piazza è stato foriero di un ulteriore irrigidimento delle misure da parte del governo, come l’obbligo per chi finiva vittima degli arresti a catena durante le manifestazioni di consegnare i dati di accesso ai propri account online; una volta ottenute le password, le autorità inondavano le bacheche dei rivoltosi con messaggi favorevoli al governo. Nel febbraio 2012 veniva arrestata per la seconda volta la blogger e attivista Razan Ghazzawi. Pochi giorni dopo, durante gli scontri con la polizia, moriva un altro famoso blogger, Rami Ahmad Alsayeed.
Immagine: bbc.co.uk
2 gennaio 2013