Agostino Clemente è avvocato, socio dello studio Ughi e Nunziante e docente di Diritto Industriale presso…
Tecnologie di sostegno vitale e diritto alla cura

di
Alberto Gambino*
La Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha appena depositato la sentenza che decide il caso di Daniel Karsai, cittadino ungherese malato di Sla che aveva rivendicato il diritto all’autodeterminazione della morte.
Secondo la Cedu, negare il suicidio assistito a un paziente che lo chieda in uno Stato dove la pratica è vietata dalla legge non è contrario alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il dovere prioritario di tutelare la persone più fragili consente che lo Stato abbia un ampio margine di discrezionalità e, in questo senso, la Corte ha ritenuto che le autorità nazionali non avessero mancato di trovare un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco.
Nel caso specifico, il paziente lamentava di non poter porre fine alla sua vita con l’aiuto di altri, ritenendo per questo di essere discriminato rispetto ai malati terminali in trattamento di sostegno vitale, i quali possono chiedere che le loro cure vengano interrotte. La Cedu ha osservato che l’offerta di trattamenti medici ha potenzialmente ampie implicazioni sociali e rischi di errore e abuso nella pratica della morte assistita da parte del medico e spetta, dunque, al legislatore nazionale disciplinare la materia.
Il tema è di particolare rilevanza in quanto la Corte Costituzionale Italiana, mercoledì prossimo, terrà l’udienza pubblica a seguito dell’ordinanza di rimessione del Tribunale di Firenze in relazione alla possibile irragionevolezza che la non punibilità di chi agevola l’altrui suicidio sia subordinata alla circostanza che l’aiuto sia prestato a una persona “tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale”, come definito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242/2019.
La logica giuridico-normativa della presenza della circostanza legittimante dell’essere “tenuto in vita da trattamento di sostegno vitale” consiste nel circoscrivere – con un elemento “oggettivo” – l’area di agevolazione al suicidio dentro i confini delle situazioni di imminenza della morte, al fine di evitare possibili abusi nella pratica dell’assistenza ad una scelta suicidaria del paziente. Tale requisito, nel sistema delineato dalla Corte del 2019, appare particolarmente rilevante se si tiene a mente che la stessa sentenza n. 242 consente di accedere alla pratica anche a chi reputi la propria malattia fonte di sofferenze psicologiche intollerabili; il che, senza il requisito oggettivo della presenza di una tecnologia di sostegno vitale in atto, comporterebbe un ampliamento potenzialmente molto esteso della platea dei possibili aspiranti suicidi (si pensi agli stati depressivi) con evidenti implicazioni sociali che è dovere di ciascuno Stato tenere presente proprio nell’ambito degli ampi margini di discrezionalità che la stessa Cedu gli riconosce.
*Commissario ECRI (Consiglio d’Europa) e CNB.