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Conclusione VII Assemblea Nazionale SIEDAS. Intervista alla Prof.ssa Maria Immordino, premio alla Carriera per la Sezione Diritto.

La Prof.ssa Maria Immordino è Componente del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS). Professore di Diritto amministrativo I, presso la Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA). Direttore responsabile della Rivista “Nuove Autonomie”; Presidente dell’Associazione Italo – Brasiliana dei professori di diritto amministrativo e costituzionale – AIBDAC e Componente del Consiglio di Reggenza della Banca d’Italia, sede di Palermo.

 

La Prof.ssa Maria Immordino

 

Prof.ssa Maria Immordino, da poco si è conclusa a Palermo la VII Assemblea Nazionale SIEDAS, nel corso della quale ha ricevuto il prestigioso Premio alla Carriera per la Sezione Diritto. Quando e come ha iniziato ad occuparsi di diritto dello spettacolo?

Ho accolto con gratitudine il prestigioso premio che la SIEDAS e il suo Presidente, professore Fabio Dell’Aversana, hanno deciso di conferirmi per il mio contributo allo studio, sicuramente affascinante e complesso, della disciplina giuridica dello spettacolo, in tutte le sue diverse manifestazioni: dal vivo e registrato.

Il diritto dello spettacolo, è appena il caso di sottolineare, ha ormai assunto la dignità di una vera e propria branca del Diritto pubblico, sicchè non è casuale il fatto che esistano riviste, come la Rivista delle Arti e dello spettacolo, diretta dal prof. Fabio Dell’Aversana, che si occupano espressamente dei problemi e delle prospettive future del settore.

Lo spettacolo è un tema del quale ho incominciato ad interessarmi nel lontano 2006, allorchè, in occasione di un convegno dal titolo Fondazioni e attività amministrativa, tenni una relazione sulle “Fondazioni teatrali e la loro incerta collocazione tra pubblico e privato”. Tema sul quale in quel momento si concentrava l’attenzione della dottrina, sia privatistica che pubblicistica, essendo ormai dubbia la natura privatistica degli enti lirici trasformati con due successive leggi, la prima del ‘96, la seconda del ‘98, in fondazioni di diritto privato.

Incertezze definitivamente chiarite dalla Corte costituzionale nel 2011, che con la sentenza n. 153 ha sottratto all’ambito della “promozione e organizzazione di attività culturali” di competenza concorrente Stato – Regioni, (art. 117, comma 3, Cost.) “la disciplina dell’organizzazione e del funzionamento delle fondazioni lirico-sinfoniche”, ritenendola, diversamente, pertinente alla legislazione esclusiva statale e, precisamente, alla materia “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali” (art. 117, comma 2, lett. g). E ciò in considerazione della loro natura di enti solo formalmente privatizzati dalla legislazione del 1996 e del 1998, ma sostanzialmente pubblici, i quali per la loro dimensione e per gli scopi perseguiti di rilevante interesse nazionale, sono ascritti, come tali, all’ambito statale e non all’ambito regionale o locale.

Da quel momento ho incominciato a studiare diversi profili problematici della  materia, che si sono concretizzati in articoli pubblicati in alcune riviste e in lavori collettanei.

Ma la spinta decisiva è venuta dalla proposta, nel 2016, da parte dei professori Franco Scoca, Fabio Roversi Monaco e Giuseppe Morbidelli, curatori della collana Sistema del diritto amministrativo italiano, proposta da me subito accolta con entusiasmo, di scrivere il volume sulla Disciplina giuridica dello spettacolo. Nel 2019 ho chiesto al professore Alfredo Contieri, ordinario di diritto amministrativo dell’Università Federico II di Napoli, di accompagnarmi in questa affascinante ma faticosa avventura come coautore, il quale ha accettato subito questa sfida, dando da allora il suo prezioso contributo alla elaborazione del volume.

 

È di prossima uscita un importante volume che ha curato insieme al Prof. Contieri in cui viene ricostruita in maniera organica la complessa disciplina giuridica dello spettacolo. Quali sono i principi fondamentali a cui deve ispirarsi il legislatore chiamato a regolare questa materia? Quanto la dottrina sta contribuendo alla relativa elaborazione?

Il libro, che è in corso di pubblicazione, affronta i numerosi profili problematici, che travagliano ancora oggi le attività di spettacolo.

Anche se, è bene sottolinearlo fin da subito, l’eterogeneità delle forme,  dal vivo  e dallo schermo, in cui si esprimono tali attività – ognuna delle quali presenta caratteristiche e postula esigenze di tutela differenti – va tenuta presente nel momento in cui si discute di principi, meccanismi e regole dell’azione pubblica e con specifico riferimento allo spettacolo dal vivo, di proposte di riforma dell’attuale normativa al fine di adeguarla sia alla novella costituzionale del 2001, sia ai bisogni e alle aspettative di un sistema economico in cui lo spettacolo, nelle sue differenti espressioni, anche a seguito dell’evoluzione tecnologica e della possibilità di instaurare rapporti stabili con mercati contigui, può assumere un ruolo centrale.

Al di là, quindi, della distinzione tra spettacolo registrato e spettacolo dal vivo e delle relative discipline,  nonché  delle lacune  esistenti, in particolare per lo spettacolo dal vivo, è ormai assodata – e in ciò rileva il contributo della dottrina e della giurisprudenza, soprattutto costituzionale – l’inerenza dello spettacolo alla cultura , alla cui promozione l’art. 9, comma 1, impegna la Repubblica e, dunque tutti i soggetti pubblici di cui la stessa si compone, e all’ arte della quale l’art. 33 garantisce la libertà, e pertanto, la riconducibilità allo spettacolo e dunque alla relativa nozione di tutte quelle attività che costituiscono espressioni del pensiero creativo, della cultura e dell’identità del Paese e strumento indispensabile per la loro diffusione e conoscenza in Europa e  nel resto del mondo.  In quest’ottica lo spettacolo  è riconducibile all’art.  21 che del pensiero artistico e culturale garantisce la libertà di manifestazione, includendola tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla Costituzione.

Lo spettacolo costituisce, inoltre, un insostituibile fattore di crescita oltre che individuale, sociale e civile, anche occupazionale ed economico della comunità nazionale, con la conseguenza che lo stesso può ben configurarsi come industria culturale, la cui importanza economica, con particolare riferimento all’industria cinematografica, è stata espressamente affermata già dall’art. 1 della cit. L. 1213/1965.

Non è un caso, del resto, che il legislatore del 2016, nel disciplinare l’intera materia del cinema e dell’audiovisivo, abbia previsto, all’art. 3, che l’intervento pubblico a sostegno del cinema e dell’audiovisivo garantisce il pluralismo dell’offerta cinematografica e audiovisiva (lett. a) e favorisce il consolidarsi dell’industria cinematografica nazionale nei suoi diversi settori anche tramite strumenti di sostegno finanziario (lett. b), e che, a sua volta, il legislatore del 2017 (legge delega n. 175, art. 1, lett. a) abbia considerato lo spettacolo dal vivo quale componente dell’imprenditoria culturale e creativa e dell’offerta turistica nazionale. 

Un tema sul quale il dibattito è stato da sempre ricco e vivace, espressione di una pluralità e diversità di opinioni e di sensibilità, è quello dell’intervento pubblico di promozione dello spettacolo, in particolare di quello che si effettua attraverso misure di incentivazione e di ausilio finanziario.

Infatti c’è stato chi, mi riferisco a Baricco – ma certo non è stato il primo, poichè le incertezze sul mantenimento dell’intervento pubblico, soprattutto finanziario, risalivano già alla prima metà degli anni cinquanta – ha proposto, nel 2009, con due articoli su La Repubblica, il taglio dei fondi pubblici allo spettacolo, così da sottoporlo alle regole del mercato, non essendosi, a suo giudizio, raggiunti gli obiettivi cui era finalizzato il sostegno finanziario pubblico, e di quello statale in particolare, ossia la formazione di un pubblico consapevole, colto e moderno, attraverso anche il tentativo di garantire pari opportunità di fruizione a tutti i cittadini così come postula il principio di uguaglianza sostanziale (art. 3 cost.) e di contrastare, attraverso la diffusione della cultura, il disagio sociale.

In un momento di grave crisi economica, non essendo possibile finanziare tutta la cultura, dovendosi di conseguenza operare una scelta, questa, secondo Baricco, non poteva che cadere sulla scuola di ogni ordine e grado e sulla televisione, considerati i luoghi dove il sapere è per tutti, così da costituire i canali privilegiati per un accesso generalizzato alla cultura e all’arte da parte del c. d. Paese reale.

Questa tesi, per quanto suggestiva e sotto certi profili sicuramente provocatoria, oggi non appare più proponibile, essendo il pubblico evocato da Baricco, è appena il caso di sottolineare, profondamente diverso e con aspettative differenti rispetto al passato, anche per l’evoluzione tecnologica degli ultimi anni e l’affermarsi di nuovi linguaggi multimediali legati alla contemporaneità, con conseguente disaffezione, soprattutto da parte dei giovani, nei confronti della tradizionale offerta televisiva.

Inoltre, pur condividendo e non potrebbe essere altrimenti, il ruolo fondamentale della scuola ai fini della formazione dei giovani, non si comprende perché il necessario aumento delle risorse ad essa destinate debba avvenire a  scapito dello spettacolo, del quale anzi dovrebbe essere potenziato lo studio e la conoscenza  da parte degli studenti, inserendo in maggior misura nei programmi scolastici la musica, il teatro e il cinema, quali manifestazioni di cultura idonee alla formazione della personalità dell’individuo, espressioni artistiche più vicine alla sensibilità e agli interessi del mondo giovanile, rispetto ai programmi scolastici tradizionali.

In senso opposto alla tesi di Baricco, si sono schierati  gli operatori del settore, che denunciano, sempre più con maggiore insistenza, l’esiguità delle risorse finanziarie stanziate rispetto al fabbisogno reale dello stesso, evidenziando come proprio a causa di ciò, lo spettacolo, nelle sue molteplici manifestazioni, abbia incontrato e tutt’ora incontra, notevoli difficoltà a diventare esso stesso risorsa per lo sviluppo, oltre che culturale, anche economico e sociale del Paese; i bizantinismi e i defatiganti intralci burocratici che caratterizzano da sempre le relative procedure amministrative, in particolare quelle concernenti il finanziamento pubblico, talvolta accusate di essere poco trasparenti, clientelari, e solo recentemente interessate dal processo di semplificazione.

La dottrina, dal canto suo, si è divisa tra chi sottolinea il rischio che la promozione della cultura e in particolare l’azione pubblica di incentivazione finanziaria, possa tradursi, da un lato, in un veicolo per orientarla ideologicamente, come è avvenuto durante il fascismo, dall’altro, in una limitazione della cultura non sovvenzionata, che subirebbe così gli effetti di una vera e propria concorrenza sleale; e chi, diversamente, ritiene che non esistano alternative credibili all’intervento pubblico, neppure alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale, introdotto dal nuovo art. 118 Cost., in quanto perseguendo il capitale privato prospettive di profitto, allorché decide di intervenire finanziariamente a sostegno di attività di spettacolo lo fa soltanto in presenza di eventi di grande richiamo, come concerti di artisti famosi.

Seguendo questo ragionamento non può dubitarsi che una eventuale dismissione dell’intervento pubblico sarebbe in contrasto con la Costituzione, in particolare con l’art. 9, con l’art. 3, nonché con l’art. 21, configurandosi lo spettacolo come veicolo di informazione e formazione di idee politiche e di costume; con la normativa dell’Unione europea sulla difesa della diversità culturale degli Stati membri, la quale costituisce il complemento della c. d.  eccezione culturale, con la quale è consentita la deroga al divieto di aiuti di Stato; nonché con norme poste da trattati internazionali.

E ciò in considerazione del fatto che le ragioni dell’intervento pubblico si spiegano con l’esigenza di colmare l’incapacità del mercato a sostenere opere teatrali, cinematografiche, spettacoli a matrice culturale, strutturalmente soggetti al c.d. morbo di Baumol (Bomol). Settori culturali caratterizzati, cioè, da una domanda non sufficientemente ampia e minacciati dalla tendenza ai costi di produzione crescenti. Sottolineandosi, altresì, il loro intrinseco valore culturale, che li connota come merit goods, con la conseguenza che devono essere offerti, si sostiene, indipendentemente dalle richieste del mercato. Sicchè i pubblici poteri, in questi casi (ma sulla questione, va ribadito, non vi è uniformità di idee), sono chiamati ad intervenire al fine di correggere le imperfezioni del mercato.

In questa logica si muove anche la già citata legge sul cinema e l’audiovisivo del 2016, la quale oltre a prevedere contributi c.d. automatici a vantaggio della produzione cinematografica nel suo complesso, prevede ulteriori contributi c. d. selettivi da assegnare ad opere considerate meritevoli da una apposita Commissione di esperti tra quelle di giovani autori, quelle di particolare qualità artistica, quelle definite difficili e realizzate con modeste risorse finanziarie. Sottesa alla legge è l’intenzione del legislatore di offrire un consistente sostegno ad opere di interesse culturale che potrebbero incontrare effettive difficoltà ad ottenere dal mercato quanto necessario per coprire i costi di produzione e distribuzione.

La legge è stata criticata sia perché sembra perpetuare un sistema di finanziamento non selettivo al prodotto cinematografico in quanto tale, sia perché spetterebbe al  mercato, e non allo Stato, regolare la produzione e le strategie televisive.

Tali critiche muovono dalla convinzione che il mercato è composto da consumatori/spettatori ormai maturi, in grado di selezionare, anche grazie alle nuove tecnologie on demand (dimand) l’opera cinematografica e televisiva, sia di largo consumo, sia di nicchia, in quanto i gusti sono ormai fortemente segmentati e differenziati.

Oltre che ai pubblici poteri, con il principio di sussidiarietà orizzontale di cui al nuovo art. 118 cost., la promozione dello spettacolo, è stata affidata anche ai privati. Una sinergia pensata e voluta dal costituente come imprescindibile, anche alla luce dell’attuale crisi economica, nel reperimento di quelle risorse necessarie per garantirne lo sviluppo e la crescita, come richiesto dal dettato costituzionale (art. 9). E, dunque, per assicurarne il godimento alla collettività, indipendentemente dalla domanda del mercato e dall’utilità che possono produrre.

Ecco perchè la questione delle risorse e delle relative modalità di reperimento occupa un ruolo centrale nelle politiche di promozione dello sviluppo della cultura e, dunque dello spettacolo. Risorse che provengono in massima parte dallo Stato e dalle autonomie territoriali, in parte ancora minima dai privati, la cui limitata presenza ha deluso le aspettative suscitate dalla trasformazione in fondazioni degli enti lirici e teatrali, o dalle incentivazioni fiscali al mecenatismo culturale.

 

Il diritto dello spettacolo e in generale le politiche culturali hanno ricevuto la giusta attenzione nell’ambito della programmazione dei fondi PNRR?

Rispondendo alla domanda precedente ho sottolineato  come  il legislatore del 2016, abbia configurato il sostegno pubblico al cinema e all’audiovisivo anche come strumento per il consolidamento dell’industria cinematografica nazionale  e che, a sua volta, il legislatore del 2017 (legge delega n. 175, art. 1, lett. a) abbia considerato lo spettacolo dal vivo quale componente dell’imprenditoria culturale e creativa e dell’offerta turistica nazionale.

Orbene, indicazioni al riguardo si ricavano anche dal Piano di ripresa e resilienza nazionale (PNRR) che ha previsto otto miliardi di euro per il settore del turismo e dello spettacolo, considerati comunque, e non ha torto, dagli addetti al comparto, insufficienti a rimediare alla grave crisi che ha colpito il settore a causa della pandemia da Covid – SARS – 19, che a partire dal 2020 ha imposto la paralisi di tutte le varie forme di spettacolo,   facendo emergere con forza le criticità e le fragilità del settore, la necessità di una legge organica e di sistema, al fine di ripensare i modelli organizzativi e strutturali, ma anche porre finalmente ordine alle problematiche relative al mondo del lavoro. E’ emersa infatti l’esistenza all’ombra del palcoscenico di un’area di lavoratori invisibili, quali alcune figure artistiche, non catalogabili.

In particolare il Piano nel settore M1C3, dedicato a Turismo e Cultura, ha previsto al punto 3 “Industria culturale e Creativa, 4.0”, l’investimento 3.1 destinato allo sviluppo dell’industria cinematografica (progetto Cinecittà).

E’ evidente che le misure previste dal PNRR siano limitate allo sviluppo dell’industria cinematografica,  mentre lasciano scoperti e privi di tutela gli altri settori dello spettacolo, dando, pertanto una risposta insoddisfacente ai problemi del settore, che avrebbe meritato sicuramente una maggiore attenzione.

 

 

 

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