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Diritto tributario nel metaverso. Intervista al Prof. Andrea Carinci

Andrea Carinci è Professore ordinario di diritto tributario presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Bologna dal 2011. Si è occupato principalmente di processo e di procedimento tributario, segnatamente accertamento, sanzioni e riscossione dei tributi. Più di recente, i suoi interessi si sono spostati sulla fiscalità dell’economia digitale. CO-Direttore della collana scientifica Diritto di Internet e tutela dei nuovi diritti, Pacini Giuridica
Il Prof. Andrea Carinci
Esiste una fiscalità del Metaverso?
Tecnicamente, no. Non si può ancora dire che esista una sorta di fiscalità del metaverso, ma questo, poi, essenzialmente perché non è ancora ben chiaro cosa sia questo metaverso. Certo, non posso nascondere che si è speculato sul punto e che ci si è interrogati di quale potrebbe essere le implicazioni sul piano fiscale di una dimensione nuova, come può essere quella del metaverso. Ma si tratta di speculazioni, di mere ipotesi, perché ancora il metaverso non ha una concreta configurazione, con essa, le vicende che vi occorrono.
Certamente, fiscalità del metaverso potrà significare eventuale rilevanza fiscale di vicende che si sono compiute grazie e nel metaverso. Il problema, però, è di capire se questa nuova ricchezza potrà essere valorizzare secondo criteri ordinari, e quindi idealmente “convertita” in ricchezza normale, oppure se si dovrà immaginare una ricchezza di nuovo conio, solamente digitale. Questo, con riferimento alle tradizionali imposte. Così, si può ipotizzare che gli scambi occorsi nel metaverso possano scontare le imposte sugli scambi, come l’Iva oppure il registro, coma anche che gli eventuali guadagni possano essere soggetti all’imposta sui redditi, fino ad immaginare la valorizzazione di eventuali proprietà, ai fini delle imposizioni patrimoniali. Qui, i problemi, sono essenzialmente due: innanzitutto, comprendere se, in tutti questi casi, l’impiego delle categorie tradizionali, su cui sono costruite le varie imposte, può e come trovare adattamento nell’ambito del metaverso. Poi, vi è il problema dei valori da tassare, se sono quelli originari del metaverso o se vanno ricercati valori di riferimento nella realtà sottostante. I definitiva, il problema della fiscalità del metaverso, se e quando si porrà, sarà quello di comprendere se questa debba essere una fiscalità originaria oppure derivata: se, in altri termini, si dovranno concepire imposte autonome, congeniate per e sul metaverso, oppure si potranno impiegare le imposte ordinarie, del caso adattate. Quindi, e di conseguenza, se si potrà ipotizzare una capacità contributiva del metaverso oppure sarà sempre la medesima, semplicemente declinata in forma peculiari.
Cosa ha significato l’avvento dell’AI nel comparto fiscale?
L’avvento dell’intelligenza artificiale nel comparto tributario ha avuto molteplici implicazioni. Alcune ancora tutte in divenire.
Se l’avvento del metaverso appare ancora lontano e, con esso, quella della fiscalità del metaverso, al contempo appare innegabile che l’intelligenza artificiale, nelle sue multiformi declinazioni costituisce oramai una realtà consolidata nel comparto fiscale, nel senso che vi sono oramai molteplici impieghi dell’intelligenza artificiale.
Un uso massiccio dell’intelligenza artificiale si è avuto, così, nella programmazione degli accertamenti. In particolare, nella costruzione di indici di rischio e, più in generale, nella profilazione dei contribuenti su cui concentrare l’attività di controllo. Non bisogna dimenticare che l’Agenzia delle Entrate ha raccolto, nel corso degli anni, estese banche dati (anagrafe tributaria, anagrafe dei rapporti finanziari ecc.), che sono in grado di tracciare, tendenzialmente, la gran parte dei movimenti di ciascun contribuente. Il problema, però, fino ad ora è che queste banche dati hanno dialogato tra loro con grandissime difficoltà, di fatto finendo per fornire rappresentazioni parziali e sovente distorte della realtà dei singoli contribuenti. Ebbene, l’avvento dell’intelligenza artificiale sembra consentire il superamento di quelle difficoltà, con l’elaborazione di algoritmi in grado di pescare, tra le varie banche dati, le informazioni più utili a marcare il profilo qualificante del singolo contribuente. È ovvio, che tutto ciò solleva mille perplessità, dalla tutela della privacy, al controllo sul funzionamento degli algoritmi, fino al presidio per le garanzie del contribuente, posto che un accertamento totalmente automatizzato appare un futuro quanto meno distopico; non di meno, si tratta di un processo che non può assolutamente essere arrestato ma, semmai, solo sorvegliato e controllato.
Un altro uso sempre più massiccio dell’intelligenza artificiale si sta avendo nel processo, dove si è iniziato a parlare di giustizia predittiva. Il fatto è che la giustizia predittiva significa un cambio radicale nel modo di concepire il processo, le sue dinamiche di funzionamento ed il suo ruolo. Già oggi si assiste ad un uso massiccio della tecnologia digitale nel processo che, infatti, è oramai interamente telematico: dalla notifica degli atti, che va fatta a mezzo PEC, alla costituzione in giudizio, necessariamente a mezzo deposito telematico, fino alle sentenze, che vengono comunicate a mezzo PEC. Sennonché, fino ad ora, l’impiego della tecnologia è stato concepito solo come uno strumento più moderno di funzionamento del tradizionale processo analogico. Con la giustizia predittiva, invece, si affaccia il processo digitale, che non è più la mera trasposizione digitale del processo analogico, ma diventa una nuova forma di processo, dove il digitale non serve solo a trovare informazioni, ma diventa strumento per elaborare soluzioni. È questo il senso della giustizia predittiva, ossia una forma di giustizia che mediante l’impiego di algoritmi dovrebbe essere in grado di elaborare, caso per caso, la soluzione che appare più in linea con i precedenti maturati sul punto dalla giurisprudenza precedente. Anche qui, ovviamente, si pongono innumerevoli problemi, non da ultimo il fatto che il nostro resta un sistema di civil law, dove la giurisprudenza non dovrebbe fungere da fonte del diritto. Al contempo, però, è chiaro che la possibilità di elaborare strumenti in grado di pronosticare, statisticamente, l’esito della controversia appare un valore aggiunto, di semplificazione con enormi potenzialità deflattive. Anche qui, ciò che si può solo fare è vegliare che non si svii verso forme distorsive del processo e delle garanzie per le parti.
Si può parlare e ha senso parlarne di ricchezza digitale?
Bisogna intendersi sul significato. Il digitale come strumento di creazione di nuovo valore nella realtà economica ordinaria è certamente una realtà conosciuta. Le criptovalute, gli NFT sono tutti fenomeni che nascono nel digitale ma che hanno, oramai, un valore ed un mercato anche nel mondo reale. Non è un caso, allora, che la Legge di Bilancio 2023 abbia previsto, espressamente, la tassazione delle plusvalenze realizzate sulle cd. Criptovalute. Sennonché, qui il digitale non attiene ad una qualificazione della ricchezza, quanto dello strumento con cui questa si crea: ma questa resta una ricchezza assolutamente analogica. Diverso, ovviamente, è il discorso se si volesse misurare la ricchezza creata da strumenti digitali nella realtà digitale. Cosa che probabilmente dovrà venire in futuro nella misura che nel cd. Metaverso si esprimerà una fetta sempre maggiore di attività, perché è evidente che il valore delle cose nel metaverso non necessariamente è quello che hanno nell’economica reale. Ma questa è, forse, la sfida più affascinante del metaverso.