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Non Fungible Tokens: quali interrogativi per il diritto civile?

Gli NFT, acronimo di Non Fungible Tokens, sono una delle applicazioni della tecnologia blockchain su cui si sta concentrando il maggior interesse del mercato. Secondo un recente studio dell’EU Blockchain Observatory and Forum della Commissione europea, la popolarità degli NFT è cresciuta esponenzialmente nel 2020, arrivando a una capitalizzazione di mercato di circa 297 milioni di euro, in aumento dell’845% rispetto al 2018.
Da un punto di vista prettamente tecnologico, i token sono dei record crittografici su blockchain i quali si definiscono non fungibili quando sono univoci e non interscambiabili con altri token dello stesso genere. Inizialmente diffusi nel 2017 grazie al gioco CryptoKitties basato su Ethereum, che permetteva di allevare e creare dei gattini digitali diversi l’uno dall’altro, scambiabili e collezionabili, ad oggi questi “gettoni” virtuali sono in grado di rappresentare o la versione digitale di beni (materiali o immateriali, come una casa o un brano musicale) preesistenti, oppure beni nativi della blockchain (come una criptovaluta o gli stessi CryptoKitties), o la titolarità di diritti (come, ad esempio, un ticket per un concerto o un titolo di credito). L’infungibilità tecnologica può così fungere da supporto per la circolazione di beni o l’esercizio di diritti di cui è garantita l’esclusiva disponibilità da parte dell’utente blockchain che abbia la disponibilità del token. Conseguentemente, il mercato degli NFT può svilupparsi potenzialmente in ogni settore, anche se al momento i casi d’uso più ricorrenti si registrano nel campo dell’arte digitale, dell’industria dei videogiochi, della supply chain, per l’emissione di certificati di varia natura e nel Metaverso.
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