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Profili di responsabilità degli intermediari e-commerce: le conclusioni dell’Avvocato generale nella causa Louboutin contro Amazon

 

di

Massimo Farina

 

Il rapido diffondersi di piattaforme e-Commerce gestite da intermediari ha determinato la creazione di nuovi modelli di business e un più agevole accesso da parte degli utenti a specifici beni e servizi. Di conseguenza, l’impatto sull’attività economica degli operatori del commercio è divenuto sempre più rilevante, con anche ricadute in termini di circolazione di merce contraffatta.

Il recente caso sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) nelle cause riunite C-148/21 e C-184/21, che vede quali parti in causa i colossi Louboutin e Amazon, consente di approfondire alcuni profili di responsabilità degli intermediari in caso di illeciti commessi tramite le piattaforme e-Commerce.

In generale, la Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico non pone in capo ai provider specifici obblighi di sorveglianza in merito agli illeciti che i terzi commettono utilizzando i servizi messi a loro disposizione. Tuttavia, qualora notiziati della presenza sulle loro piattaforme di attività illecite, gli stessi potrebbero essere chiamati a risponderne a norma dell’art. 14, par. 1 nel caso in cui non intervengano. La Direttiva, però, non fornisce alcuna risposta specifica in merito alla responsabilità indiretta del provider in caso di vendita di prodotti illeciti.

Secondo la casa di moda Louboutin, famosa per le calzature dalla suola rossa Pantone 18.1663 TP, l’intermediario Amazon, fornendo una vetrina ai venditori di merce contraffatta, agevolerebbe dall’attività illecita di chi mette in vendita sulle piattaforme prodotti lesivi del proprio marchio, rendendosi dunque parte dell’illecito.

Il quesito posto all’Avvocato generale Szpunar ed esaminato nelle Conclusioni presentate in data 2 giugno 2022, è dunque se il gestore della piattaforma di vendita possa o meno essere ritenuto responsabile della violazione dei diritti dei titolari di marchio perpetrati su di essa.

La disamina fatta dall’Avvocato generale riguarda in particolare il concetto di uso del marchio, così come stabilito dall’art. 9, par. 2 del Regolamento UE n. 2017/1001, dal momento che le attività dei marketplace non rientrano facilmente nelle casistiche fornite dal Regolamento. Parimenti, risulta difficile ricavare una definizione generale di ciò che possa o meno costituire uso. Intermediari come Amazon operano infatti in un modo ibrido, pubblicando offerte di vendita di prodotti e fornendo a terzi delle vetrine virtuali, occupandosi però anche di altri servizi. In tali circostanze, a parere dell’Avvocato generale, il gestore della piattaforma non farebbe un uso del segno e quindi non potrebbe essere considerato responsabile per le violazioni di marchi compiute da parte di terzi.

In altre parole, l’attività di intermediazione operata da Amazon risulterebbe meramente passiva e non integrerebbe il concetto di «uso» come stabilito dal Regolamento UE 2017/1001 e, pertanto, Amazon non potrebbe essere considerata responsabile per le violazioni delle privative industriali dei titolari di marchi perpetrate da terzi che offrono in vendita prodotti contraffatti sulla piattaforma e-Commerce.

Come del resto sancito dalla CGUE precedenti occasioni, perché l’attività dell’intermediario possa costituire un uso del marchio altrui occorre che questi lo utilizzi nella propria comunicazione commerciale e, dunque, quando il destinatario sia in grado di percepire un legame tra il segno utilizzato e l’intermediario.

Per il momento, non resta quindi che attendere la futura pronuncia della CGUE.

 

 

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