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Sistemi di intelligenza artificiale, diffusione nello sport e sfide per il quadro regolamentare europeo. Intervista al Dott. Alberto Orlando.

In merito alla recente pubblicazione L´Intelligenza artificiale per lo sport alla prova del quadro regolamentare europeo, in open access sulla Rivista di Diritto Sportivo edita da Giappichelli, abbiamo intervistato il Dott. Alberto Orlando approfondendo le sfide legali legate direttamente e indirettamente all’utilizzo delle Artificial Intelligence in ambito sportivo.

Alberto Orlando è Ricercatore junior di Diritto pubblico comparato (IUS/21) presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università del Salento. Docente di “Sport e Identità culturale nel Diritto comparato” nel CdL in Diritto e Management dello Sport e membro dell’unità di ricerca “Sport and Law: Sustainability and Integrity”. Svolge attività di ricerca nell’ambito del progetto “Utilizzo degli strumenti digitali nella sostenibilità economica delle società sportive” e collabora con il Modulo Jean Monnet “Sport Integrity and Rule of Law in the Governance of Sports Authorities as a Priority and Value of European Law” (EUSportRoL). Relatore al Convegno 2022 IEEE International Workshop on Sport, Technology and Research (STAR) (Cavalese-Trento, 6-8 luglio 2022). Tra i principali temi di ricerca, cui sono dedicate parte delle sue pubblicazioni, il diritto sportivo e i profili giuridici connessi all’impiego dell’intelligenza artificiale.

 

Il Dott. Alberto Orlando

 

I sistemi di Artificial Intelligence impatteranno un domani sul mondo dello sport?

L’Intelligenza Artificiale è già ampiamente utilizzata nello sport e impatta sempre di più. Quando si parla di I.A., infatti, si fa riferimento a tecnologie impiegabili per gli usi più disparati e con potenzialità ancora incredibilmente inesplorate. Nello sport, ad esempio, l’I.A. è ormai utilizzata da atleti e allenatori come strumento indispensabile per migliorare le tecniche di allenamento, l’analisi delle gare sportive in tempo reale o in differita, la prevenzione degli infortuni, la valutazione della performance. Ma, al di là del lato prettamente tecnico, società e federazioni sportive sono sempre più interessate a sfruttare le potenzialità dell’I.A. per finalità connesse al miglioramento dell’evento sportivo, al marketing, al fan engagement e in generale ai profitti, nella speranza che lo sviluppo tecnologico possa costituire una via “sana” verso la sostenibilità, sempre più barcollante, del sistema sport, soprattutto di altissimo livello. È sufficiente parlare con un operatore del settore sportivo per rendersi conto dell’entusiasmo e delle aspettative con cui è accolto l’utilizzo dell’IA nello sport.

Non è però tutto oro quello che luccica. Evidentemente, uno sviluppo tecnologico “senza freni”, in qualsiasi settore, pone quantomeno dei dubbi che investono la sfera giuridica se non addirittura etica. Lo sport non fa eccezione. Se è vero che il miglioramento della performance sportiva o la sostenibilità del sistema sport passano anche dall’utilizzo dell’I.A., non possiamo rinviare le domande sugli “effetti collaterali” del fenomeno, che pure potrebbero impattare – in senso negativo – sugli atleti e gli altri soggetti coinvolti. Ad esempio, sussiste un diritto dell’atleta a non sottoporsi come “oggetto di analisi” all’utilizzo di sistemi di I.A.? O ancora, di quale diritti è titolare l’atleta con riferimento ai dati che lo riguardano, dati in pasto al sistema di I.A.? Più in generale, l’I.A. nello sport pone un problema di explainability delle decisioni algoritmiche? Ossia, i soggetti coinvolti hanno diritto a conoscere e magari anche comprendere il funzionamento della macchina?

Per evitare che l’entusiasmo per lo sviluppo dell’I.A. si trasformi presto in un clima di sfiducia o, peggio, incida sui diritti fondamentali dei soggetti coinvolti, occorre che lo sport guardi al fenomeno con attenzione già da ora.

 

 

L’attuale quadro normativo è a Suo avviso adeguato a fronteggiare la diffusione di AI in ambito sportivo? Quali sfide normative pongo le AI in ambito sportivo?

Il tema dell’I.A. è assolutamente nuovo per il regolatore pubblico. Tuttavia, l’Unione europea ha avviato un percorso di regolamentazione del fenomeno che non ha precedenti – e, per ora, neanche tanti seguaci – a livello mondiale: mentre è al vaglio delle Istituzioni dell’UE la Proposta di Regolamento sull’I.A., ormai datata aprile 2021, i maggiori competitor su scala mondiale – come USA e Cina – stentano a intraprendere percorsi di regolamentazione pubblica, lasciando libero spazio alla self-regulation dei privati.

Se il tema è nuovo in generale, una regolamentazione pubblica dell’I.A. nello sport appare praticamente avveniristica e, per dirla tutta, almeno in questa fase, anche inopportuna.

Resta però il fatto che la normativa generale possa applicarsi anche al fenomeno sportivo. In questo senso, accanto alla Proposta di regolamento sopra menzionata, vengono in soccorso anche norme e principi derivanti dal GDPR, entrato in vigore nel 2018, considerato che alcune delle questioni più spinose riguardanti l’impiego dell’I.A., anche in ambito sportivo, potrebbero essere risolte applicando il Regolamento per la protezione dei dati personali.

L’impiego dell’I.A. nello sport, infatti, si traduce spesso in un trattamento dei dati personali ai sensi dell’art. 4 GDPR e dovrebbe pertanto essere soggetto a tutti i principi imposti dal GDPR, dalla liceità del trattamento (quindi, correttezza, trasparenza, determinazione delle finalità, esattezza dei dati) alle condizioni (ossia, consenso, condizioni per il trattamento senza consenso, condizioni speciali per i dati relativi alla salute). Già il rispetto di questi principi, che dovrebbe essere ormai radicato nella nostra società, non può essere dato per scontato se guardiamo all’applicazione dell’I.A. nello sport, considerato pure che, alla base, non appare sempre semplice stabilire i ruoli dei soggetti coinvolti: se spesso l’interessato è l’atleta, quale soggetto – società sportive, fornitore del servizio di I.A., utilizzatore del servizio, ecc. – può essere considerato “titolare” del trattamento e quale “responsabile”? Così, quanto un atleta, tesserato presso una società sportiva e comunque dovendo restare “appetibile” sul mercato, può dirsi effettivamente tutelato dalle norme sul consenso? Lo stesso art. 22 GDPR, che vieta le decisioni basate unicamente sul trattamento automatizzato di dati, potrebbe anche venire in soccorso dell’atleta restio all’impiego dell’I.A., ma le eccezioni previste al “diritto” dell’interessato rischiano di svuotare, data la loro ampiezza, lo stesso contenuto del diritto.

In sintesi, il GDPR già dice qualcosa, ma si applica soltanto in caso di trattamento dei dati e, anche in questo ambito, non risolve tutti i dubbi.

Così pure la Proposta di regolamento sull’I.A. al vaglio dell’UE non prende in considerazione il settore sportivo: l’impiego dei sistemi di I.A. nello sport appare relegato, in via residuale, alla categoria dei sistemi “a basso rischio”, pertanto esentati dagli obblighi previsti per i sistemi “ad alto rischio”. Anche se, a ben vedere, la Proposta attualmente considera già ad alto rischio “l’IA destinata a essere utilizzata per adottare decisioni in materia di promozione e cessazione dei rapporti contrattuali di lavoro, per l’assegnazione dei compiti e per il monitoraggio e la valutazione delle prestazioni e del comportamento delle persone nell’ambito di tali rapporti di lavoro”. E questo potrebbe già imporre alle società e agli enti sportivi specifici obblighi per l’utilizzo di sistemi di I.A. che riguardino la valutazione della performance degli atleti o che comunque incidano sulla loro carriera sportiva.

Tuttavia, una parte sostanziosa dell’impiego dell’I.A. nel settore sportivo rimarrebbe qualificata – anche giustamente – come a basso rischio. Anche questi impieghi, però, pongono dei problemi, che devono essere risolti probabilmente applicando correttamente principi generali dell’ordinamento. In particolare, occorre interrogarsi sulla configurabilità di un diritto alla comprensione del funzionamento dell’I.A. da parte dei soggetti coinvolti. A titolo meramente esemplificativo: l’utilizzo dell’I.A. come ausilio ai direttori di gara (si pensi alle più recenti evoluzioni prospettate per il VAR nel calcio) potrebbe comportare, in ossequio al generale principio di trasparenza, una legittima pretesa delle società sportive, che sulla base delle decisioni automatizzate si giocano il successo sportivo ed economico, a comprendere il funzionamento del sistema? Il classico “black box problem” che riguarda la categoria dell’I.A. in generale, almeno se ci riferiamo all’I.A. più sofisticata, non risparmia e non risparmierà neanche lo sport.

 

Cosa fanno le Federazioni internazionali per considerare la tematica?

Se dal punto di vista dell’ordinamento generale si muove qualcosa sulla regolamentazione dell’I.A., pur senza prendere in esame nello specifico il settore sportivo, le istituzioni sportive per adesso si dimostrano abbastanza indifferenti allo sviluppo del fenomeno o, nel migliore dei casi, si limitano a salutarlo entusiasticamente.

Sebbene si tratti di atteggiamento comprensibile e in buona parte anche condivisibile, forse sarebbe il caso di dimostrare maggiore coraggio e lungimiranza. Essendo la regolamentazione dell’I.A. ancora territorio vergine, gli spazi per forme di co-regulation pubblico-privata o per la self-regulation sono ancora molto ampi, né sembrano destinati a comprimersi nel breve periodo: la stessa UE, nella sua Proposta di regolamento incoraggia la predisposizione di “codici di condotta” da parte dei privati.

Il settore sportivo ha dalla sua un vantaggio che altri settori non hanno: benché le sue istituzioni abbiano natura formalmente privata, di fatto esso presenta caratteristiche “ibride”, poiché organizzato secondo una precisa gerarchia, a livello globale, che accorda alle istituzioni di vertice poteri regolatori e sanzionatori, ovviamente vincolanti per i soli consociati del settore sportivo, similari a quelli delle istituzioni pubbliche. Pertanto, la predisposizione di normative o, meno drasticamente, di linee-guida o raccomandazioni sul tema dell’impiego dell’I.A. potrebbe sortire un doppio effetto positivo: da un lato, potrebbe guidare l’agire dei soggetti coinvolti nel settore sportivo, che sarebbero chiamati a rispettare principi stabiliti; dall’altro, un tentativo di questo genere potrebbe costituire terreno di “sperimentazione regolatoria” in un settore come quello sportivo sicuramente meno sensibili di altri, in modo che le soluzioni di maggiore successo possano poi essere applicate in futuro anche in altri settori.

Un approccio di questo genere ridimensionerebbe, inoltre, un altro problema. Le tecnologie di I.A. rappresentano, infatti, un mare magnum in cui non soltanto è difficile orientarsi, ma è difficile addivenire a una definizione condivisa della categoria stessa. Per definire l’I.A. occorre infatti guardare alle caratteristiche di ogni sistema, alle finalità di utilizzo, al grado di autonomia decisionale, all’impatto sui diritti e gli interessi dei soggetti coinvolti e, soprattutto, anche al settore di impiego. In questo senso, benché un approccio olistico – come quello che, per certi versi, sta tentando l’UE – possa offrire principi fondamentali, non si può nascondere l’esigenza di “settorializzare” l’I.A., valorizzando le specificità di ogni settore. Lo sport, dal canto suo, è settore “specifico” per eccellenza, come riconosciuto dagli stessi Trattati dell’UE all’art. 165 TFUE, e si trova costantemente a fare i conti con l’effettiva portata del principio di autonomia dello sport: anche in questo senso, le istituzioni sportive non possono trascurare l’opportunità di giocare un ruolo attivo nella partita ancora tutta da disputare sull’impiego dell’I.A. nello sport.

 

 

 

 

a cura di Valeria Montani

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